venerdì 24 agosto 2007

Intrinseco divenire di un giorno qualunque.

-(...) Mi piace concepire alcune immagini. Mi piace immaginare quale possa essere la natura psicologica di quelli che sono i mostri sacri della cultura del tempo assoluto. Da sempre amo il cinema, la letteratura, la poesia, la filosofia, il mondo dell'arte in generale. Le commistioni si amalgamano attorno alla parete di edere del quotidiano. Il sole irradia lo scandaglio e ciò che una pupilla svela si infiamma nella gioia pedestre.(...) Capita di percorrere un viale. Capita di di soffermarsi ad ammirare il moto quasi ondulatorio di una foglia secca...mentre prima di essere vista giacere sul marciapiede dimenticato, il fermo immagine di una dipartita vegetale, ci avvinghia all'unico tempo terreno almeno "così è se vi pare".(...) Propongo un frammento di un'opera ,di uno dei filosofi dell'antichità, che più mi avvince. Alle volte, il gusto di conoscere l'oracolo nascosto, prende forma. Non esiste così il buio. Non esiste la nebbia. Esiste solo il magistero, col suo magistrale tic-tac di un'assurdita fatta missing-time. Continuo ad ogni modo, a guardare le luminescenze stellari, alle volte, vecchie di milioni di anni. Paradossalmente mi sembra di scorgere una sorta di entità. Il suo nome non mi è noto, ma è come se la conoscessi da sempre. Spero di trovare la quiete per poterla ancora una volta incontrare in sogno.

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Straniero - [...]Dimmi: dobbiamo avere il coraggio, mi pare, di pronunciare l'espressione "l'assoluto non essere"?Teeteto - Come no?Straniero - Se uno degli ascoltatori, non a scopo di contesa né per scherzare, ma seriamente dovesse rispondere, dopo aver riflettuto, a che cosa deve essere riferito questo nome, il "non essere", in riferimento a che cosa e per quale oggetto noi crediamo che egli ne farebbe uso e che cosa indicherebbe a chi lo interroga?[...]Ma questo almeno è chiaro, che il "non essere" non deve essere riferito a qualcuno degli enti. [...] Ma noi diciamo che, se s'intende parlare correttamente, non bisogna definirlo né come unità né come molteplicità e neppure assolutamente chiamarlo con il "lo", perché anche con questa espressione lo si designerebbe con una specie di unità.
(Platone, Sofista, in Id., Dialoghi filosofici, vol. II, a cura di G. Cambiano, Torino, UTET, 1981, pp. 433-436)

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